I nostri luoghi, le nostre abitudini e le nostre vite raccontate da vecchie foto conservate con amore
o uscite per caso dalle scatole in cui le avevamo riposte.

domenica 1 maggio 2022

Tutti figli di Amedeo

 


C’era una volta .… a Pozzuoli

Tutti figli di Amedeo

 

Fin dal suo insediamento a Pozzuoli, nel 1885, la Armstrong ha dato vita a diverse istituzioni di previdenza.

Precorrendo i tempi, quando nè lo Stato né le Industrie ancora non pensano a soccorrere i propri dipendenti in caso di bisogno, il grande Stabilimento inizia a provvedere agli operai colpiti da infortuni.

 

Il servizio sanitario all’interno dello Stabilimento possiede una infermeria con vari locali per pronto soccorso, visite mediche generiche, operazioni chirurgiche, visite oculistiche, ed è corredato di apparecchio radioscopico e di tutti i più recenti precetti della scienza medica [1].


Annessa alla Infermeria vi è una Farmacia dove è possibile acquistare medicinali a prezzi relativamente modici [2].



Ben presto l’assistenza sanitaria gratuita è estesa anche alle famiglie degli operai, sia che essi risiedano a Pozzuoli, a Napoli, o nei paesi vicini.

Vari medici ed alcuni infermieri specialisti sono adibiti a questo servizio che funziona ventiquattro ore al giorno, come i turni di produzione.

Questi benefici, per dipendenti e familiari, sono elargiti dalla Armstrong per tutti i lunghissimi anni in cui opera nel sito di Pozzuoli, e lo stesso sarà per la successiva Ansaldo e poi dalla subentrante SMP (Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli), fino a tutti gli anni cinquanta.

 

In una foto del 1958, scattata all’interno del Cantiere di Pozzuoli nel corso di una cerimonia religiosa presieduta dal vescovo Alfonso Castaldo, notiamo la presenza dell’operaio Amedeo Russo che abita nella vicina e animata Vanella Miliscola [3].





All’epoca i ragazzi di questo borgo, del Mulino, di Villa Maria e di altre sparse case della zona Cantiere, sono sempre fuori casa, praticamente in strada fino a tarda sera finché non sono richiamati dalle rispettive mamme per la cena. Per giocare ci si inventa di tutto, la Fantasia è patrimonio comune, nonostante nasi colanti, scarpe con buchi, pantaloni con pezze, e inquilini non graditi tra i capelli.

D’estate già di prima mattina si gioca a calcio al centro della strada, per via Miliscola raramente passa qualche auto, e la sirena del Cantiere, che suona per l’ingresso, pranzo e uscita operai, marca i tempi di divertimento.

In serata transitano carretti carichi di frutta e verdura, che i coloni portano al mercato; si poggiano le orecchie sull'asfalto per poter sentire gli zoccoli dei cavalli in avvicinamento e al loro passaggio è un vero e proprio assalto alla diligenza.

Poi gli arrembaggi lungo la lava Cordiglia, l’andare a disturbare le “lucciole” che “lavorano” sulle rampe per Villa De Angelis, le sassate con i ciottoli della Ferrovia Cumana contro bande rivali, son tutte buone occasioni per procurarsi ferite più o meno leggere [4].



Per le semplici sbucciature è sufficiente risciacquarsi alla fontana mascherone posta nello slargo del Mulino dei Mirabella; ma per le ferite più importanti non ci sono soluzioni rapide e neppure lontanamente si ritiene opportuno recarsi a casa [5].



Tutte le mamme avvertono: "..se cadi e ti fai male...ti dò il resto..", oppure: “…se cadi per far lo scemo e non ti fai nulla ...dopo ti faccio male io....!!!!”

 

Con queste premesse è impensabile andare a casa dopo un danno non proprio leggero; pertanto l’unica soluzione è recarsi presso l’infermeria del Cantiere che da sempre ha un portoncino, che immette direttamente sulla provinciale Miliscola, riservato ai familiari dei dipendenti [6].



Una volta bussato si è accolti nell’atrio e subito introdotti nella medicheria dove l’infermiere don Peppe provvede a disinfettare, bendare, e dare qualche punto, senza fare inopportune domande sull’incidente causa dei danni.

Al termine don Peppe, per le dovute registrazioni, si limita a chiedere il nome del genitore e una conferma che lo stesso sia dipendente del Cantiere.

Prontamente, il ragazzo di turno infortunato, risponde:

“Sono figlio di Amedeo!”

In altre occasioni, numerose come lo è il numero degli scugnizzi, alla richiesta di don Peppe di conoscere il nome del genitore, sempre si risponde:

“Sono figlio di Amedeo!”

La domanda di don Peppe è una farsa, ma dovuta, i ragazzi rispondono tutti d’essere figli di Amedeo, abitante nella vanella e dipendente del Cantiere.

Don Peppe è di cuore, ma non scemo; sa benissimo che non son tutti figli di Amedeo, ma lui li cura lo stesso.

Non sono tutti figli di Amedeo, ma comunque sono tutti figli del Cantiere.

 

 P.S.

Un grazie a Genny Casella, Antonio Ambrosino e Ninotto Bellofiore per le preziose testimonianze.

 

Giuseppe Peluso – maggio 2022


giovedì 21 aprile 2022

Lo strano caso del Mannese

 

PREFAZIONE DEL PROF. VINCENZO CASILLO

La bellezza del frammento, un elogio di Giuseppe Peluso...

Son tempi maledetti questi, giorni ed ore inabitati dalla percezione, ahimè, devastante del male che sembra prevalere dentro ed intorno alle nostre miserabili esistenze.

La mano fa fatica a scrivere e la parola esce parca ed ingrata.

Pur tuttavia, trovo qualche minuto di minore sofferenza per tessere l'elogio di Giuseppe Peluso, un uomo in cui il frammento storiografico assurge ad arte.

Con vero piacere dello spirito ho letto le brevi note che il nostro ci ha donato in relazione alla strana storia del "Mannese".

Cosa dire, nel pur breve racconto suffragato dalle rimembranze di Genny Casella rivive il colore locale di una comunità umana che non è più, ma le cui vicende hanno lasciato un'impronta indelebile nelle menti dei protagonisti.

Insieme si viveva, insieme si gioiva, insieme si soffriva: questo rendeva uomini e donne.

Ora, che il nostro reo tempo ed il nostro individualismo esasperato ci hanno consegnati alla più bieca delle solitudini umane ed esistenziali, si affronta tutto con indicibile difficoltà.

Dio non voglia abbandonare l'opera delle sue mani... 

(Enzo V. Casillo)



C’era una volta .… a Pozzuoli

Lo strano caso del Mannese 

Fino a tutti gli anni cinquanta la chiesa di San Marco costituisce di fatto, per noi puteolani, il confine tra centro urbano e periferia.

Qui terminano via Sacchini e via Roma che, convergendo, proseguono come strada provinciale; l’antica via Miliscola che continua tra il paese che sta finendo, la campagna che sta iniziando e il cantiere che sta devastando.

Villa Maria, con le sue tre moggia di terreno coltivato da Menechiello, patriarca della Famiglia Biclungo, e con le sue mucche, allevate da Vittorio della Famiglia Perrotta, ancora mostra la sua vocazione agricola.

Poco oltre il macello comunale, e il mulino dei Mirabella, c’è un cavone che si spinge fin sotto la ferrovia Cumana; qui troviamo una stalla con qualche mucca di “Totonno ‘u lattare centinaia di colombi, qui concentrati per i residui di grano del mulino, che nidificano nei vuoti delle pietre di tufo.

Nello stesso cavone è sempre forte l’odore acre proveniente dagli zoccoli di cavallo bruciati poiché c’è la baracca di “Tommaso o sferracavallo”.

E’ questo un maniscalco, figlio di Attilio, ricordato per essere stato il padre di Giuseppe, un vigoroso e bravissimo ragazzo, da tutti conosciuto come “Peppe Maciste”.

Poco oltre ancora un vicoletto il cui ingresso è seminascosto tra due edifici, il secondo del quale allora come oggi ospita il deposito di Barca, “o’ schiattamuort” [1].

Imboccando questa stretta “calle”, entro la quale prosegue la numerazione civica, ci ritroviamo in un cortile attorno al quale s’è creato, come racconta Genny Casella, un piccolo borgo.

In Italia meridionale, soprattutto in Campania, luoghi come questo sono definiti “vanella”; ovvero “piccolo atrio ai lati o alle spalle di uno o più fabbricati”.

Questa “vanella” è un agglomerato di casupole attorno ad una corte comune che permette di aggirarsi tra stalle, baracche, galline, botteghe artigiane, bassi e signorili abitazioni poste ai piani alti. Un mondo sperduto, sconosciuto a chi non è del luogo, una vera “corte dei miracoli”, misteriosa e per certi versi paurosa.

Oggi varie fabbriche sono state abbattute e l’ampio spazio ricavato è per gran parte adibito a parcheggio; ma al tempo dei ricordi, al tempo dei fatti che narreremo, il luogo è colmo di tuguri ma traboccante di vita [2].

A destra un alto muraglione ne delimita il confine col “cavone”, il nominato vicolo cieco che divide questa “vanella” dall’agglomerato costituto dal Mulino dei Mirabella.

Di fronte un fabbricato è addossato al grosso terrapieno di contenimento che sostiene la trincea in cui transita la Ferrovia Cumana.

A sinistra ancora qualche altra casupola proprio sul muro confinario che separa questa corte da un'altra appartenente alla attigua proprietà Gentile; ultimo fabbricato pima della “lava”, ovvero del “Vallone Cordiglia”.

 Tonando nella “vanella” di quegli anni troviamo, nel fabbricato frontale, iniziando da sinistra e dal piano superiore, dieci alloggi occupati come segue:

1 - Appartamentino della Famiglia Russo;

2 - Appartamentino della Famiglia di Mario Papa la cui moglie è sorella di Antonio Ianniello;

3 - Appartamentino della Famiglia di Antonio Ianniello, fratello della moglie del confinante Mario Papa e padre di Nicola (Colino), noto per il mobilificio ad Arco Felice;

4 - Appartamentino della Signora Loprechiacca, moglie di un maresciallo.

 

Al piano terra, sempre iniziando da sinistra:

5 – Al confine con il palazzo Gentile, in un locale sottoscala, abita un signore alquanto enigmatico, detto “Tirtapp”, con barba e vistosi baffoni. Ristrettissima la sua casa; aprendo la porta d’ingresso ed a pochi centimetri si ritrova il suo letto composto da “chiancarelle” sospese tra una parete e l’altra. Naturalmente in questo angusto spazio non ci sono né luce, né acqua, né servizi igienici. Questo personaggio esce alle prime luci dell’alba per recarsi alla solita cantina di Pozzuoli; da qui il suo contro nome “Tirtapp”, per poi rincasare a sera tardi.

6 - Appartamentino occupato dalla signora “Nanninella”, Famiglia Autieri, poi trasferita a Milano da moltissimi anni;

7 - Appartamentino della signora Calabrese moglie di Di Donato detto “Ciaciotto”, già lavoratore Armstrong e padre di Nardiello;

8 - Appartamentino della signora soprannominata “Assunt ‘a cecata”;

9 - Locali adibiti a falegnameria da Antonio Ianniello, che abita sopra, e poi di seguito occupati da una signora soprannominata “a mosc”; ora abitante a Pozzuoli.

 

Veniamo ora alle due case sulla strada Miliscola, oggi ripristinate ed occupate dal mobilificio Pafundi:

1 – La prima è abitata da Luigi Costigliola, detto “Gigino o Furnaro” con sua moglie Sommina, sorella di Colino (quindi figlia di Antonio Ianniello). Sommina è la seconda moglie del Costigliola; la prima moglie, morta giovanissima, si chiamava Imma, era cugina di Sommina, ed aveva delle bellissime lunghe trecce. Gigino ha dodici figli, tutti maschi; due dalla prima moglie e dieci dalla seconda. Alfonso è il primo nato del secondo matrimonio, dopo la vedovanza. ed oggi abita al Rione Solfatara; un altro figlio si chiama Renato ed ha fatto il barbiere; un altro, di nome Enzo, si è trasferito a Ponza.

2- La seconda casa è occupata dalla signora Irmtella, moglie di Gaudino Luigi che lavora alla vicina Ferroleghe. Anche Irma è morta molto giovane.

 

Ci sono poi alle altre quattro case, oggi tutte occupate dal mobilificio Pafundi. Al piano terraneo troviamo:

1 – Appartamentino con la famiglia del signor Amedeo Russo, che lavora agli Stabilimenti di Pozzuoli già Armstrong, con sua moglie Gemma e i figli tra cui Mario che ci ha lasciati troppo presto, la figlia più grande che ora risiede Sotto il Monte ed un'altra che si è trasferita a Rimini;

2 - Di fianco, loro vicini, Michele Ambrosino, l’accalappiacani municipale, con la moglie signora Manuela Arca ed i figli che ancora oggi conosciamo.

 

Al piano superiore abitano:

3 - A destra, guardando dalla strada, il signor Di Domenico che lavora alla ILVA di Bagnoli;

4 - A sinistra, sempre guardando dalla strada, il signor Lamberti che pure lavora alla ILVA di Bagnoli;

 

Sulla sinistra dello stretto vicolo d’ingresso abita una signora detta “Murgetella”; in seguito il locale è occupato da “mast’Antonio ‘u guardamentario”.  Bravissima persona e abile artigiano che con pelli, cuoio e altri materiali realizza tutti gli accessori che possano servire per cavalli, asini e muli. Selle, briglie, paraocchi, sottogola, chiudibocca, redini, frustini, ecc.

Un altro “mast’Antonio”, detto però “’o mannese” [riparatore e costruttore di carrozze] abita nel cortile in una casetta di legno, ai lati della proprietà dei signori Costigliola, conosciuti come “o’ cciracane”; ovvero don Mimì e la moglie Capolongo Carmela.

A questa casetta è annesso un piccolo cucinino, sempre in legno, che come la casa ha un tetto formato da tegole ondulate di ETERNIT, naturalmente contaminate dall’amianto, ma nessuno lo sà.

Le stesse tegole coprono il laboratorio del “mannese” e ancora tutti ricordano che ha costruito, per conto di un facoltoso personaggio e senza badare a spese, uno di quei carretti per la “Juta a Montevergine”. Cosa straordinaria i raggi di quel carro erano tutti dello stesso peso, un orologio svizzero, una maestria fuori dal comune.

Genny ha vissuto in questo borgo che pertanto rammenta molto bene, al contrario di me che solo in poche occasioni mi ci sono inoltrato [3].

Ricordo che a metà degli anni cinquanta giunge notizia della morte di un bimbo che qui abita; insieme ad altri ragazzi miei coetanei, e all’insaputa dei genitori, mi reco verso questo vicoletto proprio quando il bianco carro funebre sta allontanandosi con il suo tragico carico.

Una donna lancia dei confetti e per tutti noi piccoli è una corsa sfrenata per raccoglierli tra i piedi dei presenti, prima che finiscano frantumati. Raggiante li porto a casa come trofei e mai avrei immaginato le grida e i pianti di mia Madre che, costrettomi a buttarli, mi disinfetta mani e bocca.

Un altro personale ricordo risale al 1959 quando entro a far parte degli scout e durante le escursioni noto che tutti i giovani esploratori sono dotati di coltelli da giungla. A casa mio Padre conserva un coltello tedesco da guerra senza fodero, e questa mancanza non mi permette di portarlo nelle escursioni di squadriglia. Pertanto mi ricordo del guardamentaio, che si trova in questa “vanella”; con molta pazienza Mast’Antonio mi ritaglia un fodero a misura del pugnale, di certo non adatto agli usi scautistici.

Ma veniamo al ricordo, di Genny, per il quale abbiamo iniziato questo scritto.

 Una mattina, in questo piccolo mondo, succede il finimondo; dato il sovraffollamento il silenzio non può essere di casa in questa “vanella”, ma le grida di rabbia vanno ben oltre il rispetto accumulato.

Tutto inizia con un fruscio, inizialmente appena percepibile, che piano piano aumenta di volume con l’aumentare dei personaggi coinvolti. Ben presto tutti i residenti della “vanella” sono invitati ad intervenire e così iniziano ad apostrofare e poi a scagliarsi minacciosi contro “mast’Antonio o mannese”.

Tutti, coalizzati con veemenza, lo accusano di lavorare di notte disturbando il meritato sonno dei vicini costretti poi ad affrontare stanchi le dure giornate lavorative che la vita loro riserva.

In particolare sbraitano che durante tutta la notte più non si dorme perché si sente forte un sibilo. Affermano che il rumore è quello tipico provocato dalla manovella della forgia che, quanto più forte gira, più violentemente alimenta la fiamma sui cui si riscaldano i metalli da lavorare [4].

Il mannese, sentitosi accusato, va su tutte le furie e, con altrettanto voce alta, grida che non è lui che gira la manovella della forgia e tanto meno passa la notte a lavorare.

Anzi, racconta, anche lui è infastidito da questo rumore notturno e, pensando a qualche scugnizzata, le ultime sere, prima di lasciare l’officina, ha provveduto a sfilare la manovella nascondendola sotto le lamiere ondulate della tettoia.

 Genny, seppure bambino all’epoca dei fatti, giura di ben ricordare il  “Mannese” nell’atto di smontare la manovella, dopo lo spegnimento della forgia, e di nasconderla sotto le tegole di Eternit della tettoia; una condotta inconsueta e incomprensibile, anche agli occhi di un bambino.

La discussione sembra stroncarsi, i partecipanti si domandano l’un l’altro cosa veramente succede di notte e chi possa essere l’essere, naturale o soprannaturale, che si prende gioco di loro tutti.

Ma ecco che la discussione ridiventa accesa quando la signora Barca, rispolverando una vecchia questione, si scaglia contro il signor Di Domenico. Lo rimprovera perché permette ai figli di giocare con delle biglie fino a notte tarda; questo la infastidisce perché le grida dei bambini non gli permettono di dormire.

Apriti Cielo! Pronta la risposta del Di Domenico che per le rime gli fa capire che i “suoi figli” vanno a letto molto presto ed è quindi impossibile che siano loro a giocare con le biglie.

Ma si sa, i bimbi sono numerosi e sono presenti in quasi tutte le Famiglie che popolano la “vanella”. Se non giocano con le biglie giocano con qualsiasi altra cosa trovano, invadendo spazio e privacy altrui.

E poi, se vogliamo dirla tutta, le tue galline sporcano fuori casa mia e mai ti sei sognata di pulire…..

E tu! La pronta risposta. Tieni sempre i fili occupati con il tuo bucato…

 

Ma che volete farci, questo significa essere vivi, queste sono le gioie e i dolori del far parte di una Comunità. Così affermava la Mamma di Genny.

Ella era solita raccontargli “fattarielli”, parabole, vita vissuta e storie di Pozzuoli, e negli anni spesso ritornava su ciò che era accaduto in quella “vanella”. 

Anche lei, come tanti altri, captando quel rumore ogni notte si affacciava; continuava ad avvertire la forgia del “mannese” girare senza mai scorgere Mast’Antonio o qualcun altro che agitasse la maledetta manovella.

Nei suoi ricordi, messi ora a fuoco da suo figlio Genny, era convinta che effettivamente qualche cosa di strano succedeva in quel piccolo borgo.


Genny Casella & Giuseppe Peluso - aprile 2022


domenica 28 novembre 2021

Assunta Pezzanera

 


ASSUNTA PEZZANERA

In una vecchia foto, pubblicata di recente da Vincenzo Grieco sul Gruppo Facebook “gli SCUGNIZZ di NCOPP ‘A TERRA”, notiamo un Rione Terra vivace e animato.

Nella immagine, in fondo, si vedono delle "spaselle", con frutta e verdura, che in pratica costituivano il negozio di Assuntina “Pezzanera”. Questo “puosto” si trovava nello strategico e trafficato incrocio tra via Luigi de Fraja Frangipane, via Crocevia e piazzetta San Liborio.

 La nipote Carmela Mirata riferisce che la signora che si intravede dietro la mercanzia non è Assuntina “Pezzanera”; ne è certa perché la nonna vestiva sempre di neroe lei, seppure fosse piccola, così la ricorda.

Carmela riconosce invece sua madre Elena Conte, in secondo piano, immortalata nel suo tipico atteggiamento con una mano appoggiata su di un fianco.

Elena, detta “Ninuccia”, era figlia di Gennaro Conte, detto “Pezzec”, e di Maria Pollio anch’essa presente in foto, tra la figlia Elena e le tre ragazze in primo piano.

Questa tre spiritose signorinelle sono, da sinistra:

-      Luisa Lucignano che abitava nel basso a destra; quello che si sta intonacando.

-      Concetta Conte, detta “Tittinella”, sorella più giovane di Elena Conte; quindi zia di Carmela.

-      Maria Vallozzi, cugina di Carmela, e vicina di casa.

Le tre ragazze, già compagne di gioco ed ora complici dei primi confidenziali segreti, si mostrano al fotografo masticando un frutto di biblica memoria; in voluttuoso e brillante atteggiamento.

Il bambino, anch’esso in espressione scherzosa, è il fratello di Carmela Mirata; o forse un suo cugino cui molto assomiglia.

Il muratore è Vincenzo Grieco, detto “’o re dell’intonaco”; colui che postando la foto ci ha catapultato in un mondo che anche noi stavamo sgombrando dalle radici e dai ricordi.

Vincenzo è ripreso proprio nel rifacimento dell’intonaco all’esterno di casa Lucignano, dove abitavano sia Luisa che il fratello Giovanni.

 

Nell’allegata piantina una freccia individua il crocicchio dove la scena si svolse; incrocio di vie e di vite, di storie e di leggende.

La notte della “Vigilia di Natale” su al Rione s’accendevano vari “cippi” il più famoso dei quali ardeva a Piazzetta Crocevia, nei pressi del principale ingresso del Duomo.

Il ricordo di questo “cippo” ci è stato tramandato da uno struggente racconto del professore Raffaele Giamminelli e immortalato in un’opera del maestro Antonio Isabettini.

Ma vecchi racconti popolari ci parlano di altri falò che, seppure limitati nella portata e nei partecipanti, egualmente assolvevano alla funzione di aggregazione tra i residenti di vicini e affollati “bassi”.

Prossimo casa sua, al crocicchio muto testimone della descritta scenografia, ogni “Vigilia di Natale” Assunta “Pezzanera” accendeva il suo “Cippo”.

Tra ottobre e novembre il nipote Salvatore andava con il carrettino, trainato dal suo ciuccio, nella selva oltre via Vecchia Vigna dove raccoglieva i resti di uno stagionato ceppo.

Affinché asciugasse, perdendo l’umidità del bosco, lo deponeva “abbasc ‘u quartiere”, nelle vicinanze dello stretto crocicchio. Angelo Mirelli ricorda che per qualche mese l’adagiato "cippo" diventava, per loro bambini, un fantasioso destriero da cavalcare.

Poi la notte di Natale il “cippo” era trasferito vicino casa di Assunta che lo accendeva lasciandolo ardere per tutta la Notte Santa.

Le fiamme del grande fuoco, alimentate da ulteriore legname, si spingevano in alto e sembrava che andassero a toccare le stelle. Tutto questo tra la gioia di anziani infreddoliti e di scugnizzi eccitati dal magico evento; molti lo vegliavano fino alle prime luci dell'alba. 

Anche questo era il Natale al Rione Terra, una festa condivisa e partecipata da tutti coloro che, nel chiuso dei loro angusti bassi, non avrebbero avuto la possibilità di stare insieme, per giocare, raccontare e sognare…


GIUSEPPE PELUSO - DICEMBRE 2021


lunedì 13 settembre 2021

Bar D'Artagnan

 



BAR D’ARTAGNAN

 Nel nostro mondo di ragazzini frequentatori di via Napoli - racconta Tommaso di Bonito - c'erano due Bar che si facevano una guerra “amichevole"; il Bar Musto, nel secondo palazzo a mmare, e  di fronte, dall'alro lato della strada, il Bar D'artagnan.

(vedi foto di copertina di Genny Casella)

Io ragazzino, poi giovane, ero assiduo frequentatore del primo, mio Padre assiduo frequentatore del secondo.

Ancora oggi ricordo mio padre seduto ai tavolini fuori al Bar D'artagnan, con i suoi amici; la “Spuma Stella” non mancava mai.

Ma ora l’amico Claudio Aguzzi, una vita trascorsa nel Palazzo Cosimato (meglio conosciuto come Palazzo del Carcere), ci riporta in quella atmosfera immergendoci in gioiosi momenti di spensierata gioventù.

Claudio racconta che una delle figure più rappresentative della vecchia Via Napoli è senz’altro Raffaele Musto, meglio conosciuto come D’Artagnan, nome ereditato dal suo bar.

Il locale, che comprendeva una sala interna e un gran numero di tavolini all’esterno, costituiva il principale punto d’incontro della maggior parte dei giovani ed anziani di allora [2].



Nel Bar si formava sempre un nutrito gruppo di persone e, tra fumo, grida e risate, si discuteva di vari argomenti; i dibattiti erano spesso molto accesi, ma mai una rissa, o una violenza.

Tante le discussioni e gli “appicciche”, sempre verbali, quando si parlava di calcio; opinioni accese sul Napoli di Vinicio o di Pesaola, … c'erano cento allenatori a discutere.

Poteva essere considerato il Bar dello Sport, ma anche il Bar del gioco e degli scherzi; a danno sempre di qualcuno meno simpatico da “sfrocoliare”, specie se era presente qualche sostenitore della juve.

D’Artagnan, ovvero Raffaele Musto, era sempre sorridente, gioviale e disponibile ed all’occorrenza aiutava chi si trovava in difficoltà; per cui era stimato da tutti.

A volte anche qualche bambino, dopo piccole marachelle, chiedeva il suo aiuto per non essere picchiato dai genitori; lui volentieri lo accompagnava a casa sdrammatizzando e scherzando sull’accaduto. Tutto si risolveva con una battuta e una risata e in quella occasione niente botte.

Giuseppina Rotta ricorda - aveva 12 anni - che la madre era incinta del fratello e all’improvviso ebbe una “voglia” di fragole. Il Padre lo disse a Raffaele D’Artagnan e questo subito sciolse del gelato a fragola dando le ricavate fragole al Padre. Giuseppina lo ricorda bene e sua madre lo raccontava sempre; altri tempi, altre amicizie, altri modi di fare.

D’Artagnan era inoltre tifosissimo del Napoli e, ad ogni vittoria della sua squadra del cuore, distribuiva caramelle e dolcetti ai piccoli avventori presenti. Poi, nel caso di vittoria sulla Juve, era pronto a partecipare attivamente all’organizzazione del funerale con tanto di manifesti, bara e corteo funebre.

Già dall’immediato dopoguerra si organizzavano partite di calcio giocate sulla spiaggia, nell’unico tratto più largo, di fronte al palazzo del carcere. Da Pozzuoli centro veniva una squadra formata da molti pescatori e questi incontri erano occasione di amichevoli scommesse [3].


In queste occasioni il portiere titolare era sempre lui; il suo ruolo non era messo mai in discussione, non tanto per la bravura, quanto per la sua simpatia e per il suo innato umorismo. Non a caso ha dato ad uno dei suoi tanti figli il nome “Ottavio”, in onore dal famoso portiere del Napoli di allora, Ottavio Bugatti.

Una sera, negli anni sessanta, si sparse la notizia che la squadra del Napoli con Sivori ed Altafini era a cena al ristorante “Vincenzo (ancora) a mare” e D’Artagnan, coadiuvato da altri, tentò di raggiungere il locale da mare con una barca [4 - foto di Luisa Pietropaolo].



Questo perché non era possibile entrare dall’ingresso principale, via terra, ma, accecati dal tifo, commisero un grave errore che un esperto non farebbe mai; non controllarono se il tappo (l’alliev) era inserito. Raggiunto il ristorante, spararono i fuochi d’artificio che si erano portati e, nell’euforia del momento, si accalcarono tutti a poppa; il peso fece spostare l’acqua che aveva raggiunto ormai i paglioli e stavano per affondare. Dovettero correre in aiuto con un’altra barca, perché tra l’altro, il buon D’Artagnan, anche se puteolano, non sapeva nuotare.

Chissà se qualcuno dei testimoni di allora, leggendo queste righe, non possa dare ulteriori aggiornamenti e precisazioni sul caso.

Molti, tra cui Giulio Lo Moriello, definiscono D’Artagnan, con sua moglie Maria e poi suo figlio Ottavio, le vere icone di Gerolomini.

Giulio ricorda che la signora Maria lo sfotteva; poteva ben farlo perché dal suo seno prese il latte che sua Madre non aveva.

In pratica gli salvò la vita; lui e Ottavio erano coetanei e succhiavano ognuno da un seno della signora Maria. Ottavio da grande ancora lo stuzzicava; si riteneva creditore di molti litri di latte.... Storie semplici ma piene di umanità [5].

 


Anche Maria Laura L., in una recensione sul web del lontano 2012, definisce questo bar davvero una storica presenza sul territorio puteolano.

Ricorda che era il fornitore di gelati preferiti di sua madre e che tante volte scendeva con lei, di sera dopo cena, per prendere un cucciolone, dei magnum e cornetti in quantità.

Ricorda tutte le colazioni fatte in fretta e furia per strada, col cornetto o la brioche comprata poco prima nel bar ed il caffè che ancora galleggiava nel suo stomaco!

Oggi esiste ancora il bar D’Artagnan, gestito da uno dei nipoti, figlio proprio di Ottavio; la terza generazione dal lontano1943.

Giustamente Maria Laura, nella citata recensione, afferma che oggi la valenza di D'Artagnan è più aggregativa che commerciale. Con questo intende dire che il bar è più luogo di incontro e confronto dei tanti pensionati di via Napoli, piuttosto che locale inserito nella movida puteolana di cui oggi tanto si parla.

La clientela, infatti, è prevalentemente composta dagli anziani della zona che si vedono spesso, usufruendo dell'ampio spazio con tavolini all'esterno del locale, per chiacchierare dei vecchi tempi andati, della mala politica o delle proprie insopportabili mogli [6].

 


Claudio Aguzzi conclude affermando che è stato estirpato il tessuto sociale; mancano i riferimenti e non c’è più quell’atmosfera che ti avvolgeva, specie in quelle serate d’estate.

Non c’è più lui, Raffaele Musto, e non ci sono più tutti i clienti, amici di allora.

Tutto è cambiato. Peccato!  


Memorie scritte da Claudio Aguzzi

Ricordi di Tommaso Di Bonito, Giulio Lo Moriello, e altri

Curatore: Giuseppe Peluso


Pozzuoli, Settembre 2021


mercoledì 25 agosto 2021

La via Napoli di una volta

Con vivo piacere pubblico i giovanili ricordi di un caro amico, Claudio Aguzzi, che con il suo scritto arricchisce il mio blog dedicato alla Pozzuoli di una volta.

Claudio ha inteso stilare questo "post" come punto di partenza aperto alla collaborazione di chiunque lo desideri; auspicabili commenti, documenti e dibattiti (possibilmente "in presenza"), affinché i puteolani veraci, vecchi frequentatori di "via Napoli", più non si sentano "forestieri"  nel calpestare il natio litorale.

Inoltre Claudio ha comunicato che sta preparando un elenco di nominativi, personaggi illustri e comuni, che hanno legato la loro vita e la loro memoria alla vecchia "via Napoli". 

Attendiamo con ansia questo "casting" che virtualmente, insieme a queste righe, ci riporterà su questo lungomare affollato di paesani e ricordi giovanili.



Ricordi di un tempo che fu

La via Napoli di una volta


Alla fine degli anni ‘60 si è realizzato un grave scempio ambientale ai danni del territorio puteolano e dei suoi abitanti. Residui dell’Italsider ancora fumanti sono stati scaricati abusivamente fino a ricoprire la spiaggia, il tratto di mare all’interno della scogliera ed oltre. Dove ora c’è lo strato roccio-ferroso (l’attuale battigia) era mare, profondo fino a circa 5 metri. Allora non esisteva una coscienza ambientalista e nulla fu fatto per evitarlo. Fu subìto supinamente senza che le colpevoli istituzioni facessero nulla. In quella occasione sono stati sepolti i luoghi della nostra infanzia, il nostro mondo, fatto di semplici cose, impastate con acqua di mare.

Ma non basta. Pozzuoli ha dovuto fare i conti anche con le conseguenze del fenomeno del bradisismo. 

Infatti, se la fase ascendente degli anni ‘70 provocò la evacuazione del solo rione Terra, la fase ben più cruenta degli anni ’80 ha provocato lo smembramento del tessuto connettivo, realizzando una vera e propria diaspora del popolo puteolano ed in particolare di quello di Via Napoli.

Non si può immaginare cosa si prova a passeggiare nei luoghi della propria infanzia e giovinezza e non riconoscerli ed imbattersi quasi esclusivamente in persone sconosciute, sino a sentirsi un estraneo. E pensare che una volta ai Gerolomini, conosciuto anche come “abbascio ospizio” eravamo come una grande famiglia [2]. 

Ricordo ancora tutti i volti delle persone di allora, sono impresse nella mia mente e nel mio cuore, specie quelle che non ci sono più. L’infanzia e la giovinezza vissuta a via Napoli vecchia sono state qualcosa di meraviglioso. Esisteva un campetto proprio di fronte casa mia, dove si passava la maggior parte del tempo libero a giocare quasi esclusivamente a pallone [3]. 

Le partite più importanti si disputavano contro squadre dei quartieri vicini e ad assistere si formava sempre un folto pubblico. Anche la spiaggia era sede dei tanti nostri giochi. Già a maggio iniziava per noi la stagione balneare, che terminava a novembre inoltrato. I più piccoli che non sapevano ancora nuotare, si bagnavano all’interno della scogliera, in acqua bassa (a rint) fino a quando non imparavano a nuotare [4]. 

Il passaggio al di fuori della scogliera (a for) avveniva sempre con l’aiuto dei più grandi. Ricordo il lido Spina di don Fernando, proprio di fronte casa mia ed io uscivo solo col costume e attraversando la strada mi trovavo già al mare. Da ragazzo trascorrevo quasi tutto il tempo in acqua e quando era pronto da mangiare mia madre mi chiamava dalla finestra e mi aspettava sull’uscio di casa con asciugamano e costume asciutto, perché sapeva che arrivavo sempre tutto bagnato [5].

In quel tempo a Via Napoli funzionavano diverse terme, le più importanti erano: Terme Puteolane, Terme Subveni Homini, Terme La Salute e Terme Terracciano, oltre a tante altre minori, a conduzione familiare. Insomma, Pozzuoli, fino a tutti gli anni ’60 era una ridente località turistico - balneare che si avvaleva di un bel lungomare, lidi e spiagge [6].

Una volta si viveva di turismo e proprio le tante terme erano il fiore all’occhiello della città e creavano occasione di lavoro per centinaia di persone. Oggi, con i gravi indici di disoccupazione che ci ritroviamo, il mondo delle terme farebbe proprio comodo. E pensare che tanti paesi vivono prevalentemente col turismo termale, mentre noi le abbiamo totalmente abolite. Che furbata!

Ecco come si presentava il lungomare di Pozzuoli (la vecchia Via Napoli) fino agli anni ’60 [7].

Oggi ci ritroviamo a vivere altri momenti di fase ascendente di bradisismo, con conseguenti scosse. Chissà cosa ci preserva il futuro. Mentre il suolo si solleva, Pozzuoli ed in particolare Via Napoli andrà sempre più a fondo? Spero proprio di no [8].

 



GIOVENTU’


Profumi di gioventù

Brandelli di un tempo passato

Che ormai non è più.

L’odore dell’erba di mare a secco per la marea

Mi riporta d’incanto in quel mondo

In quel tempo che fu.

E rivivo momenti lontani

Riprovo le stesse emozioni.

Si rincorron veloci episodi e pensieri

Ritrovo gli amici di un tempo

Rivedo volti a me noti che ormai non esistono più.

Poi la logica mente mi riporta di colpo al presente

La magia s’interrompe

Un lungo sospiro

Segna la fine di un mondo a me tanto caro.

L’odore dell’erba di mare è sempre lo stesso

Anche se meno intenso.

Ma tutto il resto è diverso

Quel mondo oramai

È solo dentro di noi ragazzi di allora.

 

 

Claudio Aguzzi – Agosto 2021



P.S.

Qui di seguito alcuni commenti raccolta dai social su cui l'articolo è stato condiviso:


Brigida Imperiale

La mia infanzia, si passava la cumana attreversata la strada eri li al mare

  

Nino Caruso

Che belle pescate dalla scogliera

 

Ubaldo Daniele

SONO NATO 72 ANNI FA AL RIONE MAROCCHINI I MIEI GENITORI PERSERO LA CASA A CAUSA BRADISISMO FU OCCUPATA E MAI PIÙ LIBERATA OGNI QUALVOTA VADO A VIA NAPOLI PER PRENDERMI UN CAFFÈ MI SENTO FUORI LUOGO E TROVO POCHISSIME PERSONE CONOSCENTI .PER QUESTO DOBBIAMO RI NGRAZIARE SE RICORDO BENE POSTIGLIONE SINDACO DI QUEL TEMPO CHE FU.OGGI VIA NAPOLI È TERRA DI NESSUNO SOLO LOCALI E AUTO ANCHE SR IL LITORALE È BELLO MA NON MERAVIGLIOSO COME AI TEMPI MIEI QUANDO CON UN BALZO STAVO A MARE A RIND .LE 3 SCOGLIERE ERANO UNA COSA CHE TI FACEVANO SENTIRE A RIPARO DA TUTTO RICORDO I LIDI E I BAGNANTI CHE FITTAVANO LE STANZE DAI PRIVATI BEI TEMPI I NOSTRI FIGLI CONOSCONO VIA NAPOLI DALLE FOTO E CI INVIDIANO LA NOSTRA GIOVENTÙ.CIAO A TUTTU I (GIOVANOTTI)DI QUEI TEMPI

 

 Antonio Ambrosino

Ubaldo Daniele Ti ricordi di me?quando frequentavamo il bar che stavo vicino alla lavanderia, io tu Enzo Costigliola e altri amici del tuo rione

 

 

Mario Marany

Ciao Ubaldo noi ci conosciamo da moltissimi anni condivido tutto quello che hai detto ora vivo in provincia di Messina cittadina ridente sul mare 2 anni fa venni a Pozzuoli per motivi di lutto a via Napoli ho trovato molto degrado e mi dispiace che la nostra Via Napoli si sia ridotta così. Ok Ubaldo un abbraccio a te e a Chiara ciao

  

Ubaldo Daniele

Mario Marany CARO MARIO ERANO ALTRI TEMPI EALTRI VALORI .TI RICORDI QUANDO TU FACEVI IL CASSIERE AL BAR QUANTI CAFFÈ TI DOVEVO PAGARE A FINE SETTIMANA .ORA TUTTO QUESTO NON È POSSIBILE PERCHÉ NON ESISTE PIÙ QUELLA FRATELLANZA DI PURA DI UNA VOLTA .POI TU UN BEL GIORNO DECIDESTI DI ANDARE A FARE IL CARABINIERE E TI SEI SALVATO AMICO MIO BEI RICORDI .ADESSO C'È LI SCRIVIAMO VISTP LA VELOCITÀ CON CUI ARRIVANO .OK TI ABBRACCIO CIAO

 

 Mario Vettore

Spettacolo puro

 

 Vincenzo Daniele

Io sono nato e cresciuto ai gerolomini , e vero bei tempi era tutto così semplice adesso vivo a milano e quando torno non trovo più niente della mia infanzia. Però rimane la mia terra pozzuoli sempre con me nel mio cuore

 

Rosaria Tafuto

Io abitavo dietro i marrucchini come anche io sono andata via x lavoro

Interrompi GIF

 Angela Ceraso

Che spettacolo....quanto manca la mia Pozzuoli....ogni volta che vengo...e devo tornare a Milano...un'angoscia....

  

Rosaria Tafuto

Non dimenticherò la mia pozzuol

  

Delia Contini

Buon pomeriggio a tutti anch'io come tanti che vivomo fuori da anni sento la mancanza della mia terra che purtroppo non è più la stessa. C'è un degrado nei rapporti interpersonali che non fa più onore ai puteolani veraci. Oggi i nuovi pensano solo a far quattrini a discapito dell'ambiente. Peccato. Spero che i veri puteolani che ancora ci abitano alzino la testa e facciano valere il valore, antico ma sempre attualissimo, socio economico turistico e culturale della nostra amata Pozzuoli.

  

Caterina Martiello

Quante passeggiare per via Napoli ma quando posso venire in Italia non e' piu' uguale

 

Salvatore de Simone

Bravo Claudio

 

 Rosario D'Oriano

Claudio Aguzzi , il nostro compagno di classe alle medie

Giuseppe Peluso

Rosario D'Oriano. Si, Rosario. Proprio lui con cui, nel tempo, ho continuato ad avere contatti. Oltre che su Pozzuoli ha scritto interessanti notizie sulla avventurosa vita, e guerra, di suo Padre Walter.

 

Rosario D'Oriano

Giuseppe Peluso

Li ricordo benissimo i genitori e la sorella Laura. Il padre era panettiere. Ogni tanto ci incontriamo ancora, quasi sempre sul porto a comprare pesce per i nipotini.

Andavo spesso a casa sua, a via Vitagliano, perché aveva un meccano con cui giocavamo ore e ore.

 

 Ugo Fiorentino

Come si suol dire "tiemp bell i na vot"

 Filomena De Pasquale

Come era bella Pozzuoli che rabbia vederla cosi solo gente ai locali a mangiare

 Lorena Saturno

Che racconto meraviglioso e quanta nostalgia nelle parole. Pozzuoli era davvero bella tanto tempo fa, adoro vedere le foto di com'era. Non sono puteolana, ma leggere queste storie è molto interessante e istruttivo.

  

Flora D'Auria

che racconto D'amore....stupendo

 

Filomena De Pasquale

Come era bella Pozzuoli che rabbia vederla cosi solo gente ai locali a mangiare

 

Lorena Saturno

Che racconto meraviglioso e quanta nostalgia nelle parole. Pozzuoli era davvero bella tanto tempo fa, adoro vedere le foto di com'era. Non sono puteolana, ma leggere queste storie è molto interessante e istruttivo.

 

 Flora D'Auria

che racconto D'amore....stupendo

  

Vincenzo Savino

abasc i cammerrin

  

Giovanni Pisano

un'altra cosa più bella

  

Massimo Tatanca

Mi chiamo Maddaluno Salvatore puteolano doc dal 1945, anno della mia nascita nella suite n. 5 delle storiche terme Terracciano di proprietà di mio zio, anzi, prozio Achille. Ricordo con viva nostalgia ogni anfratto e ogni scoglio da cui ci si poteva tuffare nelle acque di un mare ancora balneabile e pieno di vita sottomarina.quanti amici e compagni di infanzia ho dovuto lasciare e di cui non ho avuto più notizie allorché mi son dovuto trasferire, nel 1975, a Roma per motivi di lavoro. Qualche nome l'ho dimenticato ma non ho dimenticato i loro visi che ho impresso nella mia mente come se li avessi visti ieri.

 

 Rosario D'Oriano

Caro Claudio, le tue parole mi hanno riportato al mondo dorato della nostra adolescenza e della prima giovinezza, quando eravamo ricchi di vita e non ce ne rebdevamo conto. Era un mondo fatto di cose semplici ma genuine . Non avevamo idea dii cosa fosse il benessere, cosa fossero le comodità, eppure eravamo felici.

Io, personalmente, non mi sento più contemporaneo, questo mondo ormai lo guardo dal di fuori.

 

 Luigi Roberto Punzo

Una curiosità ed una battuta: i Puteolani " veraci " sono solo quelli che ancora hanno la fortuna di vivere a Pozzuoli, oppure anche quelli che, come me, a 18 anni hanno lasciato la terra natia per il mondo del lavoro nel 1959? Un caro saluto

 

 Corrado Punzo

Luigi Roberto Punzo sicuramente per me sei "originale e verace", anche perché hai dato onore a questa terra. Ciao Generale.

 

 Giuseppe Peluso

Luigi Roberto Punzo. Naturale che "verace" sia riferibile agli "originari", anche se poi emigrati come te. Ma veraci lo sono anche gli appassionati ed i forestieri felicemente accasati in questa splendida Terra..

  

Maria Perini

La via vecchia di via Napoli mi riporta indietro nel tempo, con tanti ricordi, colgo l'occasione per salutarla,(poi si è messo in contatto con mio cugino Nino Caruso)buona giornata 

 

 Michele Terrin

Claudio è stato un amico di mio fratello Peppe e logicamente mio anche più vecchio di loro,quando abitavamo ai Gerolomini

 

 Luigi Roberto Punzo

" I' so' Puzzulaniello e so' cuntento

e, cchiù ca so' cuntento, me ne vanto,

pecchè 'sta terra mia ca spisso canto

è lluce d'arte, storia e civiltà.

ve basta a ddì' c fu Terra Romana

pe' ddirve quant'è ricca, forte e sana....."

Strofe tratte dalla canzone " 'O panariello maggico...". Versi e musica di Gigi Punzo.