I nostri luoghi, le nostre abitudini e le nostre vite raccontate da vecchie foto conservate con amore
o uscite per caso dalle scatole in cui le avevamo riposte.

lunedì 13 settembre 2021

Bar D'Artagnan

 



BAR D’ARTAGNAN

 Nel nostro mondo di ragazzini frequentatori di via Napoli - racconta Tommaso di Bonito - c'erano due Bar che si facevano una guerra “amichevole"; il Bar Musto, nel secondo palazzo a mmare, e  di fronte, dall'alro lato della strada, il Bar D'artagnan.

(vedi foto di copertina di Genny Casella)

Io ragazzino, poi giovane, ero assiduo frequentatore del primo, mio Padre assiduo frequentatore del secondo.

Ancora oggi ricordo mio padre seduto ai tavolini fuori al Bar D'artagnan, con i suoi amici; la “Spuma Stella” non mancava mai.

Ma ora l’amico Claudio Aguzzi, una vita trascorsa nel Palazzo Cosimato (meglio conosciuto come Palazzo del Carcere), ci riporta in quella atmosfera immergendoci in gioiosi momenti di spensierata gioventù.

Claudio racconta che una delle figure più rappresentative della vecchia Via Napoli è senz’altro Raffaele Musto, meglio conosciuto come D’Artagnan, nome ereditato dal suo bar.

Il locale, che comprendeva una sala interna e un gran numero di tavolini all’esterno, costituiva il principale punto d’incontro della maggior parte dei giovani ed anziani di allora [2].



Nel Bar si formava sempre un nutrito gruppo di persone e, tra fumo, grida e risate, si discuteva di vari argomenti; i dibattiti erano spesso molto accesi, ma mai una rissa, o una violenza.

Tante le discussioni e gli “appicciche”, sempre verbali, quando si parlava di calcio; opinioni accese sul Napoli di Vinicio o di Pesaola, … c'erano cento allenatori a discutere.

Poteva essere considerato il Bar dello Sport, ma anche il Bar del gioco e degli scherzi; a danno sempre di qualcuno meno simpatico da “sfrocoliare”, specie se era presente qualche sostenitore della juve.

D’Artagnan, ovvero Raffaele Musto, era sempre sorridente, gioviale e disponibile ed all’occorrenza aiutava chi si trovava in difficoltà; per cui era stimato da tutti.

A volte anche qualche bambino, dopo piccole marachelle, chiedeva il suo aiuto per non essere picchiato dai genitori; lui volentieri lo accompagnava a casa sdrammatizzando e scherzando sull’accaduto. Tutto si risolveva con una battuta e una risata e in quella occasione niente botte.

Giuseppina Rotta ricorda - aveva 12 anni - che la madre era incinta del fratello e all’improvviso ebbe una “voglia” di fragole. Il Padre lo disse a Raffaele D’Artagnan e questo subito sciolse del gelato a fragola dando le ricavate fragole al Padre. Giuseppina lo ricorda bene e sua madre lo raccontava sempre; altri tempi, altre amicizie, altri modi di fare.

D’Artagnan era inoltre tifosissimo del Napoli e, ad ogni vittoria della sua squadra del cuore, distribuiva caramelle e dolcetti ai piccoli avventori presenti. Poi, nel caso di vittoria sulla Juve, era pronto a partecipare attivamente all’organizzazione del funerale con tanto di manifesti, bara e corteo funebre.

Già dall’immediato dopoguerra si organizzavano partite di calcio giocate sulla spiaggia, nell’unico tratto più largo, di fronte al palazzo del carcere. Da Pozzuoli centro veniva una squadra formata da molti pescatori e questi incontri erano occasione di amichevoli scommesse [3].


In queste occasioni il portiere titolare era sempre lui; il suo ruolo non era messo mai in discussione, non tanto per la bravura, quanto per la sua simpatia e per il suo innato umorismo. Non a caso ha dato ad uno dei suoi tanti figli il nome “Ottavio”, in onore dal famoso portiere del Napoli di allora, Ottavio Bugatti.

Una sera, negli anni sessanta, si sparse la notizia che la squadra del Napoli con Sivori ed Altafini era a cena al ristorante “Vincenzo (ancora) a mare” e D’Artagnan, coadiuvato da altri, tentò di raggiungere il locale da mare con una barca [4 - foto di Luisa Pietropaolo].



Questo perché non era possibile entrare dall’ingresso principale, via terra, ma, accecati dal tifo, commisero un grave errore che un esperto non farebbe mai; non controllarono se il tappo (l’alliev) era inserito. Raggiunto il ristorante, spararono i fuochi d’artificio che si erano portati e, nell’euforia del momento, si accalcarono tutti a poppa; il peso fece spostare l’acqua che aveva raggiunto ormai i paglioli e stavano per affondare. Dovettero correre in aiuto con un’altra barca, perché tra l’altro, il buon D’Artagnan, anche se puteolano, non sapeva nuotare.

Chissà se qualcuno dei testimoni di allora, leggendo queste righe, non possa dare ulteriori aggiornamenti e precisazioni sul caso.

Molti, tra cui Giulio Lo Moriello, definiscono D’Artagnan, con sua moglie Maria e poi suo figlio Ottavio, le vere icone di Gerolomini.

Giulio ricorda che la signora Maria lo sfotteva; poteva ben farlo perché dal suo seno prese il latte che sua Madre non aveva.

In pratica gli salvò la vita; lui e Ottavio erano coetanei e succhiavano ognuno da un seno della signora Maria. Ottavio da grande ancora lo stuzzicava; si riteneva creditore di molti litri di latte.... Storie semplici ma piene di umanità [5].

 


Anche Maria Laura L., in una recensione sul web del lontano 2012, definisce questo bar davvero una storica presenza sul territorio puteolano.

Ricorda che era il fornitore di gelati preferiti di sua madre e che tante volte scendeva con lei, di sera dopo cena, per prendere un cucciolone, dei magnum e cornetti in quantità.

Ricorda tutte le colazioni fatte in fretta e furia per strada, col cornetto o la brioche comprata poco prima nel bar ed il caffè che ancora galleggiava nel suo stomaco!

Oggi esiste ancora il bar D’Artagnan, gestito da uno dei nipoti, figlio proprio di Ottavio; la terza generazione dal lontano1943.

Giustamente Maria Laura, nella citata recensione, afferma che oggi la valenza di D'Artagnan è più aggregativa che commerciale. Con questo intende dire che il bar è più luogo di incontro e confronto dei tanti pensionati di via Napoli, piuttosto che locale inserito nella movida puteolana di cui oggi tanto si parla.

La clientela, infatti, è prevalentemente composta dagli anziani della zona che si vedono spesso, usufruendo dell'ampio spazio con tavolini all'esterno del locale, per chiacchierare dei vecchi tempi andati, della mala politica o delle proprie insopportabili mogli [6].

 


Claudio Aguzzi conclude affermando che è stato estirpato il tessuto sociale; mancano i riferimenti e non c’è più quell’atmosfera che ti avvolgeva, specie in quelle serate d’estate.

Non c’è più lui, Raffaele Musto, e non ci sono più tutti i clienti, amici di allora.

Tutto è cambiato. Peccato!  


Memorie scritte da Claudio Aguzzi

Ricordi di Tommaso Di Bonito, Giulio Lo Moriello, e altri

Curatore: Giuseppe Peluso


Pozzuoli, Settembre 2021


1 commento:

  1. io ero un avventore del bar Mustoche a quel tempo avevamo deciso "dei giovani: mentre D'Artagnan quello dei grandi e dei ragazzi un po' guappicielli.Quante volte ascoltavamo "mo ti chiamm ammor" di Peppino di Capri e i primi pezzi dei Camaleont ed altri del momento.

    RispondiElimina