I nostri luoghi, le nostre abitudini e le nostre vite raccontate da vecchie foto conservate con amore
o uscite per caso dalle scatole in cui le avevamo riposte.

martedì 17 maggio 2022

Donna Emilia

 


Cera una volta a… Pozzuoli

Donna Emilia ‘a quartaiola - La salumiera i rint a Torre

 

Nel transitare davanti al sagrato di San Marco, seppure distrattamente, non posso dimenticare la mia infanzia e una vecchia salumeria che qui esercitava la sua attività.

Era collocata proprio nello slargo, sul versante dove via Roma diventa via Nicola Fasano, all’epoca ancora via Miliscola [1].

Oggigiorno è completamente cambiato il modo di far la spesa, sono cambiate le famiglie, è cambiato il loro modo di nutrirsi; giornalmente gli acquisti li fanno solo pochi pensionati, la maggioranza provvede nel fine settimana.

Nella mia infanzia non è così e l’occasione per staccarsi dalla routine di Villa Maria e recarsi alla bottega di “donna Emilia a’ quartaiola”, con i genitori o da solo per piccole commissioni, è una straordinaria avventura.

 

L’arredo della salumeria è molto spartano; il classico bancone di legno parzialmente rivestito di formica e sovrastato da un marmo ovalizzato su cui c’è l’affettatrice per i salumi, la grattugia per i formaggi, il ceppo per il taglio [2].



Su tutto troneggia la grande bilancia, inizialmente quella a pesi con le sue due coppe e poi quella più moderna di colore rosso con un solo vassoio di appoggio ed in alto un enorme quadrante, come i pendoli, per visionare il peso [3].



Sotto il piano del bancone, ancora non esistono banchi frigo; qui sono riposti mortadella, provoloni, formaggi, salumi, prosciutto, lardo salato, burro e cose simili.

Vicino al bancone, esposti in modo che siano ben visibili ai piccoli avventori, grandi barattoli di vetro forniti di coperchio in alluminio; contengono liquirizie, cioccolatini e varie tipo di caramelle, quasi sempre acquistate a pezzi singoli dai bambini che frequentano la vicina scuola.

 

Le scaffalature sono di legno verniciato; quelle dietro il bancone contengono barattoli e scatolame con prodotti da vendere sfusi, tra cui la marmellata che si trova in contenitori di compensato; quelle ai lati del negozio contengono prodotti da vendere confezionati come vino nei fiaschi impagliati, bottiglie con passate di pomodoro tappate con sugheri e spago, biscotti come i nuovi Pavesini e Oro Saiwa, citrato, bustine effervescenti per preparare bottiglie di Idrolitina o Frizzina, le scatolette di Simmethall, i primi dadi Knorr. 

 

Al soffitto sono ancorate varie barre di ferro da cui pendono prosciutti, provoloni, mortadelle, salami, caciocavalli, salsicce e altro, tutti ancora intatti ed in attesa che si esauriscano quelli in uso sul bancone.

Ai pochi tratti di pareti ancora vuoti ci sono piccoli ripiani o addirittura chiodi per esporre prodotti stagionali o promozionali.

Al di sotto di questi si nota il colore delle mura la cui tinteggiatura è stata fatta con calce viva, probabilmente dagli stessi “putekari”.

Il pavimento mostra ancora tratti delle originali “riggiole”, ma estesi mancanze sono state colmate con uno strato di cemento in cui s’è cercato di inserire lo stesso colore delle mattonelle di graniglia.

Leggende, ancora oggi narrate da amici, raccontano di topolini affogati nei grandi recipienti dell’olio ed estratti per la coda; o di neri insetti vanamente inseguiti da scope e stracci…

Ma le mosche sono rare; esse, che pure amano luoghi come questo, sono tenute lontane perché non si lesina nell’uso della moderna macchinetta del “Flit”, che spruzza una miscela di DDT [4].

 


Appena si entra nel negozio si avverte un miscuglio di odori; su tutti emerge, l’olezzo di sarde, alici, aringhe sotto sale, tonno sottolio; tutti prodotti esposti in latte medio-grandi sempre aperte e pronte per la vendita.

Nel periodo natalizio si sente l’aroma pungente del baccalà, tenuto in bella mostra presso l’ingresso del locale; olive verdi, nere, schiacciate, papaccelle, i panettoni Alemagna o Motta, qualche bottiglietta delle essenze per preparare liquori in casa. Come tutti gli altri ragazzi sono affascinato alla vista di bottiglie contenenti millefiori o altri liquidi gialli in cui si nota un rametto e lo zucchero cristallizzato [5].



Purtroppo la vicinanza del Coloniale dei Contursi limita fortemente la vendita dei primi liquori confezionati, del caffè, dello zucchero, dei dolciumi.

A Pasqua tante uova per preparare dolci, quelle di cioccolato con sorprese, le prime colombe, pancetta, ventresca, zogna, salsicce dolci e piccanti.

 

Donna Emilia, la proprietaria, è sempre dietro il grosso bancone e mai ricordo d’averla vista aggirarsi al di qua, tra gli acquirenti.

In epoche in cui son rari gli spostamenti lei, che proviene dalla vicina Quarto ancora frazione di Marano, è subito apparsa “diversa” nel Rione Torre; questa “insolita” origine è sufficiente ad etichettarla per sempre come “donna Emilia ‘a quartaiola”.

Non è alta di statura, la si intravede appena dietro il banco sebbene poggi su di una alta pedana in legno, ma è bella esuberante come una “sora ciaciona”.

La sua mole non gli crea nessun impedimento, si muove con agilità ed è molto pratica di coltelli, affettatrice, pesi e carte.

 

Nel negozio c’è pure suo marito don Eugenio, originario del salernitano e, si narra, imbattibile a braccio di ferro. Don Eugenio è claudicante, avendo una gamba offesa, ma non lo si nota quando utilizza la bicicletta che ogni sera lascia giù alle scale della sua abitazione nella vicina Calcara. Miei compagni di scuola, che abitano nello stesso Palazzo Zaarauolo, la utilizzano a sua insaputa appena rincasa definitivamente.

Io che sono tra i più giovani che abbiano frequentato questo esercizio, lo ricordo di già troppo avanti con l’età, sempre seduto in un angolo semibuio; come contributo si limita ad afferrare qualche prodotto che per puro caso si trovi alle sue spalle, ed anche questo movimento gli procura fastidio.

 

Il supporto essenziale è fornito dal nipote Canonico Santolo che è sempre in giro per il negozio a prendere, trasportare, staccare, misurare, pesare.

Santino, così è da tutti chiamato, è un giovane alto con fisico atletico; è stato calciatore della Puteolana e coltiva la passione per i purosangue. Fino a pochi anni prima ha posseduto un cavallo che, insieme al calessino, ha custodito in un ricovero della vicina Villa Maria; locale che poi sarà adibito a stalla dal vaccaro Vittorio Perrotta.

Il nostro Santino gode anche di un distinto portamento, da vero “gentlman”, e, sicuro della sua prestanza, fa la corte a tutte le signorine ed è galante con tutte le signore che, lusingate, mai dimenticano di passare da “donna Emilia”.

Santolo ha una sua vita sociale e politica; è socio frequentatore dell’esclusivo “Circolo Puteoli”, in piazza, e spesso è candidato alle comunali per le liste del “Movimento Sociale Italiano”.

Al di fuori dell’ambito lavorativo indossa sempre un caratteristico cappello a tese larghe di raffinata foggia, a metà tra un elegante “Borsalino” ed un avventuroso “Indiana Jones”.

 

Nonostante io sia poco più che bambino, nel vedermi mi saluta sempre con un “Buongiorno Signor Peluso”, facendomi sentire come un giovanissimo cadetto della Royal Navy di Sua Maestà.

Questa sua squisita cortesia non è forma di asservimento per il lavoro che svolge; è la naturale educazione e cordialità che lo contraddistinguerà fino a quando ho avuto il piacere di incontrarlo. Anche sessanta anni dopo, quando l’ho rivisto ancora impeccabile nel suo fisico asciutto; Santino era proprio così, aveva stracciato il calendario.

 

Ma non pensiate che Santolo sia futile e galante; egli è sempre attento nell’eseguire tutto ciò che la zia gli chiede, e altrettanta attenzione porge al marciapiede dove sono allineati in bella vista i sacchi pieni di legumi, spighe, ceci abbrustoliti e “sciuscelle”, la cioccolata dei poveri [6]. 



Queste carrube sono molto ricercate da bande di scugnizzi divenuti improvvisati predoni, e la merce esposta fuori, anche per mancanza di spazio interno, è sempre fonte di preoccupazione per la zia che annusa il pericolo anche quando passa l’interminabile fila di “prevetarielli” usciti dal seminario per la settimanale passeggiata [7].



Ma il nipote mai minaccia, spesso dona qualche frutto ai più bisognosi e intuisce che potrà poi stare tranquillo.

 

Il vero regno di Santino è il locale laterale, che funge da retrobottega, in cui si accede sia dalla strada Miliscola che da una apertura praticata sulla destra del magazzino principale.

Negli scaffali con ripiani aperti, di quello che sembra un vecchio armadio, c’è la pasta lunga che a casa andrà spezzata, e sotto, in una serie di cassetti, c’è la pasta corta; quella che si rompe è raccolta in un cassetto e poi ceduta come mista a prezzo inferiore.

Il tutto è venduto sfuso ed in genere ad un quarto di kilo alla volta, ed è pesato sulla vecchia bilancia, con le due coppe ed i pesi in ottone, che in precedenza era nel locale principale ed ora poggia su di un vecchio bancone posto davanti alla pasta [8].



In questo secondo locale c’è pure una grande bilancia a bascula, poggiata a terra davanti al banco, la quale più che per i clienti serve a pesare sacchi e ceste contenente merce che loro acquistano; solo raramente sono qui pesate le vendite di articoli ingombranti che superano i tre-cinque kg [9].



In questo ambiente è depositata pure la farina, i legumi, e soprattutto l’olio che è venduto sfuso; per il suo acquisto è necessario portare da casa un contenitore in cui Santino verserà la quantità richiesta (un quarto, mezzo litro, etc) dopo averla sversata da grossi recipienti metallici e quantificata a mezzo specifici misurini.

 

Saltuariamente, almeno nei miei ricordi, nella “puteka” aiuta l’altra nipote, una sorella di Santino di nome Emilia, come la zia.

L’eterna signorina Emilia è distinta, come il fratello, e nel suo buon italiano abile intrattenitrice per le attese che così diventano piacevoli per i Clienti che, abitanti tra il Rione Torre e il Mulino, si conoscono un po' tutti.

 In quegli anni si vende quasi tutto sfuso, pertanto c’è necessità di molta carta che troviamo infilzata a chiodi fissati sia ai banconi che alle vicine pareti. C’è la carta per il pane, la carta oleata per i salumi e formaggi, la carta maccheroni per la pasta, la carta paglia per qualche prodotto precotto. Poche le bustine di carta, solo per specifiche e costose spezie; molti i “cartocci” (per alimenti voluminosi come fagioli, etc) e i “cuoppi” (per alimenti piccoli come olive, etc) che sia Santino che la zia abilmente confezionano avvolgendo la carta (spesso vecchi giornali) che hanno abbondantemente a disposizione.

Si vendono sfusi anche articoli abbastanza pericolosi come la varichina, l’acido muriatico e la soda caustica, e per tutti è necessario portare bottiglie da casa. In un cartoccio è invece consegnata la liscivia bianca che al negozio arriva in sacchi.

 

Per la vicinanza dello specifico Mercato Ingrosso e del Mercatino Giornaliero donna Emila non vende frutta e verdura, ma in cambio distribuisce fresca simpatia e salutare familiarità.

In un moderno supermercato è impensabile dialogare e avere informazioni dai ragazzi degli stand; dalla nostra pizzicagnola si viene informati su tutto.

Della nuova suora giunta al vicino collegio; del quartino messo in fitto; dove abita la siringai; se la tale sarta lavora bene; e poi…. e poi… e poi; piacevole poter scambiare due parole nel mentre i salumieri preparano con sempre maggior fervore quanto richiesto.


Nel negozio non c’è la “cassa”; donna Emilia fa i conti a mano con la matita su un pezzo di carta sul bancone, lo stesso pezzo di carta che ritroveremo avvolto attorno al pane o al provolone. A casa ricontrolleremo quei conti e li ritroveremo sempre esatti perché la nostra “casadduoglio” sarà pure analfabeta ma in aritmetica è da premio “Nobel”.

Non solo, in anticipo su tempi, donna Emila ha di già inventato un unico certificato che funziona da Carta di Credito e da Carta Fedeltà. Trattasi di un libricino, ovvero un quadernetto con copertina nera, che racchiude piccoli foglietti sui quali la bottegaia annota la somma della spesa giornaliera.

Il possedere questo quadernetto conferisce un potere d’acquisto che ancora oggi nessuno strumento di credito riesce a fornire; inoltre il quadernetto crea un tale legame col negozio che nessuna moderna Carta Socio riesce a conseguire.

Il conto è poi saldato ogni settimana, quindicina o mese adattandosi elasticamente alla instabile retribuzione del debitore; alcuni pagano quando possono, i contadini addirittura al loro raccolto.

Lei con dolcezza e risolutezza ricorda a tutti le scadenze e spesso, senza malizia, dichiara:

“Chi magna a Natale e pava a Pasca, fa 'nu buono Natale e 'na mala Pasca.”

 C’è da dire, però, che siccome c’è ancora un alto senso di dignità, tutti cercano di saldare i loro debiti.

 


 GIUSEPPE PELUSO – MAGGIO 2022


P.S. - Qualche spunto e qualche foto dal blog NOI VASTESI di Nicola D'Adamo


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