Cera una volta a… Pozzuoli
Donna Emilia ‘a quartaiola - La salumiera i rint a Torre
Nel transitare davanti al sagrato di San Marco,
seppure distrattamente, non posso dimenticare la mia infanzia e una vecchia
salumeria che qui esercitava la sua attività.
Era collocata proprio nello slargo, sul versante
dove via Roma diventa via Nicola Fasano, all’epoca ancora via Miliscola [1].
Oggigiorno è completamente cambiato il modo di
far la spesa, sono cambiate le famiglie, è cambiato il loro modo di nutrirsi;
giornalmente gli acquisti li fanno solo pochi pensionati, la maggioranza provvede
nel fine settimana.
Nella mia infanzia non è così e l’occasione per
staccarsi dalla routine di Villa Maria e recarsi alla bottega di “donna Emilia
a’ quartaiola”, con i genitori o da solo per piccole commissioni, è una
straordinaria avventura.
L’arredo della salumeria è molto spartano; il
classico bancone di legno parzialmente rivestito di formica e sovrastato da un
marmo ovalizzato su cui c’è l’affettatrice per i salumi, la grattugia per i
formaggi, il ceppo per il taglio [2].
Su tutto troneggia la grande bilancia, inizialmente
quella a pesi con le sue due coppe e poi quella più moderna di colore rosso con
un solo vassoio di appoggio ed in alto un enorme quadrante, come i pendoli, per
visionare il peso [3].
Sotto il piano del bancone, ancora non esistono
banchi frigo; qui sono riposti mortadella, provoloni, formaggi, salumi,
prosciutto, lardo salato, burro e cose simili.
Vicino al bancone, esposti in modo che siano
ben visibili ai piccoli avventori, grandi barattoli di vetro forniti di
coperchio in alluminio; contengono liquirizie, cioccolatini e varie tipo di caramelle,
quasi sempre acquistate a pezzi singoli dai bambini che frequentano la vicina
scuola.
Le scaffalature sono di legno verniciato;
quelle dietro il bancone contengono barattoli e scatolame con prodotti da
vendere sfusi, tra cui la marmellata che si trova in contenitori di compensato;
quelle ai lati del negozio contengono prodotti da vendere confezionati come vino
nei fiaschi impagliati, bottiglie con passate di pomodoro tappate con sugheri e
spago, biscotti come i nuovi Pavesini e Oro Saiwa, citrato, bustine
effervescenti per preparare bottiglie di Idrolitina o Frizzina, le scatolette
di Simmethall, i primi dadi Knorr.
Al soffitto sono ancorate varie barre di ferro
da cui pendono prosciutti, provoloni, mortadelle, salami, caciocavalli,
salsicce e altro, tutti ancora intatti ed in attesa che si esauriscano quelli
in uso sul bancone.
Ai pochi tratti di pareti ancora vuoti ci sono
piccoli ripiani o addirittura chiodi per esporre prodotti stagionali o
promozionali.
Al di sotto di questi si nota il colore delle
mura la cui tinteggiatura è stata fatta con calce viva, probabilmente dagli
stessi “putekari”.
Il pavimento mostra ancora tratti delle
originali “riggiole”, ma estesi mancanze sono state colmate con uno strato di
cemento in cui s’è cercato di inserire lo stesso colore delle mattonelle di graniglia.
Leggende, ancora oggi narrate da amici, raccontano
di topolini affogati nei grandi recipienti dell’olio ed estratti per la coda; o
di neri insetti vanamente inseguiti da scope e stracci…
Ma le mosche sono rare; esse, che pure amano
luoghi come questo, sono tenute lontane perché non si lesina nell’uso della moderna
macchinetta del “Flit”, che spruzza una miscela di DDT [4].
Appena si entra nel negozio si avverte un
miscuglio di odori; su tutti emerge, l’olezzo di sarde, alici, aringhe sotto
sale, tonno sottolio; tutti prodotti esposti in latte medio-grandi sempre
aperte e pronte per la vendita.
Nel periodo natalizio si sente l’aroma pungente
del baccalà, tenuto in bella mostra presso l’ingresso del locale; olive verdi,
nere, schiacciate, papaccelle, i panettoni Alemagna o Motta, qualche
bottiglietta delle essenze per preparare liquori in casa. Come tutti gli altri
ragazzi sono affascinato alla vista di bottiglie contenenti millefiori o altri
liquidi gialli in cui si nota un rametto e lo zucchero cristallizzato [5].
Purtroppo la vicinanza del Coloniale dei
Contursi limita fortemente la vendita dei primi liquori confezionati, del
caffè, dello zucchero, dei dolciumi.
A Pasqua tante uova per preparare dolci, quelle
di cioccolato con sorprese, le prime colombe, pancetta, ventresca, zogna, salsicce
dolci e piccanti.
Donna Emilia, la proprietaria, è sempre dietro
il grosso bancone e mai ricordo d’averla vista aggirarsi al di qua, tra gli
acquirenti.
In epoche in cui son rari gli spostamenti lei,
che proviene dalla vicina Quarto ancora frazione di Marano, è subito apparsa
“diversa” nel Rione Torre; questa “insolita” origine è sufficiente ad etichettarla
per sempre come “donna Emilia ‘a quartaiola”.
Non è alta di statura, la si intravede appena
dietro il banco sebbene poggi su di una alta pedana in legno, ma è bella esuberante
come una “sora ciaciona”.
La sua mole non gli crea nessun impedimento, si
muove con agilità ed è molto pratica di coltelli, affettatrice, pesi e carte.
Nel negozio c’è pure suo marito don Eugenio, originario
del salernitano e, si narra, imbattibile a braccio di ferro. Don Eugenio è
claudicante, avendo una gamba offesa, ma non lo si nota quando utilizza la bicicletta
che ogni sera lascia giù alle scale della sua abitazione nella vicina Calcara.
Miei compagni di scuola, che abitano nello stesso Palazzo Zaarauolo, la
utilizzano a sua insaputa appena rincasa definitivamente.
Io che sono tra i più giovani che abbiano
frequentato questo esercizio, lo ricordo di già troppo avanti con l’età, sempre
seduto in un angolo semibuio; come contributo si limita ad afferrare qualche
prodotto che per puro caso si trovi alle sue spalle, ed anche questo movimento
gli procura fastidio.
Il supporto essenziale è fornito dal nipote
Canonico Santolo che è sempre in giro per il negozio a prendere, trasportare,
staccare, misurare, pesare.
Santino, così è da tutti chiamato, è un giovane
alto con fisico atletico; è stato calciatore della Puteolana e coltiva la
passione per i purosangue. Fino a pochi anni prima ha posseduto un cavallo che,
insieme al calessino, ha custodito in un ricovero della vicina Villa Maria;
locale che poi sarà adibito a stalla dal vaccaro Vittorio Perrotta.
Il nostro Santino gode anche di un distinto
portamento, da vero “gentlman”, e, sicuro della sua prestanza, fa la corte a
tutte le signorine ed è galante con tutte le signore che, lusingate, mai
dimenticano di passare da “donna Emilia”.
Santolo ha una sua vita sociale e politica; è
socio frequentatore dell’esclusivo “Circolo Puteoli”, in piazza, e spesso è
candidato alle comunali per le liste del “Movimento Sociale Italiano”.
Al di fuori dell’ambito lavorativo indossa
sempre un caratteristico cappello a tese larghe di raffinata foggia, a metà tra
un elegante “Borsalino” ed un avventuroso “Indiana Jones”.
Nonostante io sia poco più che bambino, nel
vedermi mi saluta sempre con un “Buongiorno Signor Peluso”,
facendomi sentire come un giovanissimo cadetto della Royal Navy di Sua Maestà.
Questa sua squisita cortesia non è forma di
asservimento per il lavoro che svolge; è la naturale educazione e cordialità
che lo contraddistinguerà fino a quando ho avuto il piacere di incontrarlo. Anche
sessanta anni dopo, quando l’ho rivisto ancora impeccabile nel suo fisico
asciutto; Santino era proprio così, aveva stracciato il calendario.
Ma non pensiate che Santolo sia futile e galante; egli è sempre attento nell’eseguire tutto ciò che la zia gli chiede, e altrettanta attenzione porge al marciapiede dove sono allineati in bella vista i sacchi pieni di legumi, spighe, ceci abbrustoliti e “sciuscelle”, la cioccolata dei poveri [6].
Queste carrube sono molto ricercate da bande di
scugnizzi divenuti improvvisati predoni, e la merce esposta fuori, anche per
mancanza di spazio interno, è sempre fonte di preoccupazione per la zia che annusa
il pericolo anche quando passa l’interminabile fila di “prevetarielli” usciti
dal seminario per la settimanale passeggiata [7].
Ma il nipote mai minaccia, spesso dona qualche
frutto ai più bisognosi e intuisce che potrà poi stare tranquillo.
Il vero regno di Santino è il locale laterale,
che funge da retrobottega, in cui si accede sia dalla strada Miliscola che da
una apertura praticata sulla destra del magazzino principale.
Negli scaffali con ripiani aperti, di quello che sembra un vecchio armadio, c’è la pasta lunga che a casa andrà spezzata, e sotto, in una serie di cassetti, c’è la pasta corta; quella che si rompe è raccolta in un cassetto e poi ceduta come mista a prezzo inferiore.
Il tutto è venduto sfuso ed in genere ad un
quarto di kilo alla volta, ed è pesato sulla vecchia bilancia, con le due coppe
ed i pesi in ottone, che in precedenza era nel locale principale ed ora poggia
su di un vecchio bancone posto davanti alla pasta [8].
In questo secondo locale c’è pure una grande
bilancia a bascula, poggiata a terra davanti al banco, la quale più che per i
clienti serve a pesare sacchi e ceste contenente merce che loro acquistano;
solo raramente sono qui pesate le vendite di articoli ingombranti che superano
i tre-cinque kg [9].
In questo ambiente è depositata pure la farina,
i legumi, e soprattutto l’olio che è venduto sfuso; per il suo acquisto è
necessario portare da casa un contenitore in cui Santino verserà la quantità
richiesta (un quarto, mezzo litro, etc) dopo averla sversata da grossi
recipienti metallici e quantificata a mezzo specifici misurini.
Saltuariamente, almeno nei miei ricordi, nella “puteka”
aiuta l’altra nipote, una sorella di Santino di nome Emilia, come la zia.
L’eterna signorina Emilia è distinta, come il fratello,
e nel suo buon italiano abile intrattenitrice per le attese che così diventano
piacevoli per i Clienti che, abitanti tra il Rione Torre e il Mulino, si conoscono
un po' tutti.
Si vendono sfusi anche articoli abbastanza
pericolosi come la varichina, l’acido muriatico e la soda caustica, e per tutti
è necessario portare bottiglie da casa. In un cartoccio è invece consegnata la
liscivia bianca che al negozio arriva in sacchi.
Per la vicinanza dello specifico Mercato
Ingrosso e del Mercatino Giornaliero donna Emila non vende frutta e verdura, ma
in cambio distribuisce fresca simpatia e salutare familiarità.
In un moderno supermercato è impensabile
dialogare e avere informazioni dai ragazzi degli stand; dalla nostra
pizzicagnola si viene informati su tutto.
Della nuova suora giunta al vicino collegio; del
quartino messo in fitto; dove abita la siringai; se la tale sarta lavora bene;
e poi…. e poi… e poi; piacevole poter scambiare due parole nel mentre i
salumieri preparano con sempre maggior fervore quanto richiesto.
Nel negozio non c’è la “cassa”; donna Emilia fa
i conti a mano con la matita su un pezzo di carta sul bancone, lo stesso pezzo
di carta che ritroveremo avvolto attorno al pane o al provolone. A casa
ricontrolleremo quei conti e li ritroveremo sempre esatti perché la nostra
“casadduoglio” sarà pure analfabeta ma in aritmetica è da premio “Nobel”.
Non solo, in anticipo su tempi, donna Emila ha
di già inventato un unico certificato che funziona da Carta di Credito e da
Carta Fedeltà. Trattasi di un libricino, ovvero un quadernetto con copertina
nera, che racchiude piccoli foglietti sui quali la bottegaia annota la somma
della spesa giornaliera.
Il possedere questo quadernetto conferisce un
potere d’acquisto che ancora oggi nessuno strumento di credito riesce a fornire;
inoltre il quadernetto crea un tale legame col negozio che nessuna moderna Carta
Socio riesce a conseguire.
Il conto è poi saldato ogni settimana,
quindicina o mese adattandosi elasticamente alla instabile retribuzione del
debitore; alcuni pagano quando possono, i contadini addirittura al loro
raccolto.
Lei con dolcezza e risolutezza ricorda a tutti
le scadenze e spesso, senza malizia, dichiara:
“Chi magna a Natale e pava a Pasca, fa 'nu
buono Natale e 'na mala Pasca.”
P.S. - Qualche spunto e qualche foto dal blog NOI VASTESI di Nicola D'Adamo