I nostri luoghi, le nostre abitudini e le nostre vite raccontate da vecchie foto conservate con amore
o uscite per caso dalle scatole in cui le avevamo riposte.

mercoledì 10 febbraio 2021

Dolce Vita Puteolana

 


DOLCE VITA PUTEOLANA

 

Una domenica di luglio del 1964 mio Padre acquista, con la solita “Domenica del Corriere”, una copia del “Mattino”.

Trascorro il lungo e afoso pomeriggio, non essendo andato al mare con gli amici, leggendo il quotidiano; scorro anche gli avvisi economici, spesso curiosi e interessanti.

La mia attenzione è attratta da un annuncio che si presenta molto promettente per un diciassettenne come me.

 

“Due ragazze svedesi, prossimamente a Napoli, cercano accompagnatori per visitare la città. Se disponibili telefonare di mattina al: 71.xx.xx”

 

Frastornato da questa informazioni esco presto da casa in cerca degli amici che, ritornati dalla spiaggia, saranno sicuramente nella villetta del Serapeo o appoggiati alla inferriata della Cassa Armonica, nella piazza di Pozzuoli.

Incontro Lello, amico da sempre, e, mostrandogli il ritaglio dell’annuncio, lo informo della possibilità che ci è concessa.

Anche lui resta entusiasta e così decidiamo di provare a telefonare. Nelle rispettive abitazioni ancora non abbiamo linea telefonica pertanto ci ripromettiamo, per il giorno seguente, di mettere insieme qualche spicciolo per la chiamata da effettuare.

Il lunedì mattina ci precipitiamo presso il “Bar Di Gennaro”, nel “Canalone”, che è fornito di due comode cabine telefoniche.

Presi i gettoni ci chiudiamo nella cabina riservata e componiamo il numero [all’epoca senza il prefisso 081] indicato sull’annuncio.

Sono io che chiamo e mi risponde una voce femminile; mi presento, riferisco il motivo della telefonata, e ansioso attendo una conferma.

Si – dice lei dandomi del tu – arrivano venerdì, ma ora non posso darti appuntamento. Telefona mercoledì mattina e ti dirò l’esatto orario.

 

Non sono nella pelle e, nell’uscire dalla cabina, Lello mi si aggrappa per conoscere i dettagli del prossimo incontro che già pregusta.

Ci accomodiamo sulla solita panchina della villetta e iniziamo a fantasticare sulle svedesi. Saremo in compagnia di bellezze come Anita Ekberg o altre scandinave; alte, bionde e disinibite protagoniste di tanti film, appena visti nei cinema puteolani.

Sogniamo di emulare attori come Mastroianni, Interlenghi e Gassman; lontana l’idea che la nostra parte possa ricalcare quella di Totò e Peppino.

 

Il mercoledì mattina nuova raccolta spiccioli, telefonata e risposta dalla ormai solita voce; sembra quella di una donna di mezza età.

Si! Ma le ragazze sono tre e non due!

Come? Quindi possiamo venire in tre? Ma dove?

Si! Vieni venerdì mattina alle dieci, al Corso Europa n. x, al citofono bussa al professor xxxxxx!

Come, come? Aspettate! Mi ripete l’indirizzo?

 

Nel mentre Lello mi strattona, per essere messo al corrente della telefonata che nonostante la stretta vicinanza non è riuscito a captare, debbo sorreggere la cornetta, scrivere l’indirizzo e il nome del professore.

Uscendo subito gli riferisco della novità della terza ragazza.

Ma questo non è per noi un problema, gli amici è l’unica cosa che abbiamo in abbondanza, sono così numerosi da poter accompagnare mezza Svezia; la metà femminile, s’intende.

Non ci è difficile trovare il terzo socio; tutti già sono al corrente delle nostre prossime avventure e Giggino, il prescelto, è ben lieto di affidare a noi la sua felicità.

 

I giorni che mancano all’appuntamento sono di trepida attesa per noi e per gli altri amici; tutti aspiranti vitelloni ma non invidiosi.

Nel vedermi, mi ripetono:

Pepè, le svedesi passano a tre!

[Pepè, anzi “Barone Pepè”, è il soprannome con cui gli amici di gioventù ancora mi chiamano]

 

Naturalmente siamo tutti minorenni, senza patente e senza auto. Si pone il problema della mobilità e delle mete da raggiungere.

Anche gli altri consigliano di portarle subito a Pozzuoli dove non mancano monumenti, panorami e spiagge libere; ”libere” come vagheggiamo siano le svedesi che accompagneremo.

C’è poi il problema di eventuali pranzi, le nostre entrate non contemplano neppure la paghetta settimanale; necessita optare per qualche locale trattoria economica.

Non possiamo fare come l’anno precedente che per ricambiare l’ospitalità di Thomas [un tedesco che ci fece cenare presso la sua tenda al camping Solfatara] lo portammo da un venditore di angurie facendogli ingoiare tanti di quei meloni che il poverino ad un certo punto, pur rischiando di sembrare scortese, si alzò dicendo: Basta!

Quella cena, con le angurie a dieci lire il kilo, a noi sei che offrimmo, costò solo centocinquanta lire

Le osterie sono più costose, ma qualche amico ci dice che gli svedesi sono ricchi, possono permettersi di pagare. Basta dirgli che da noi si usa fare “alla napoletana”; per tradizione ognuno paga il suo pranzo.

Ma non si dice ”alla romana”!

Cosa vuoi che gli svedesi sappiano se “alla romana”, “alla napoletana”, oppure “alla puteolana”!

Non credo che funzionerà, dovremo procuraci qualche soldino in famiglia o presso parenti.

 

Nei giorni seguenti, mappa alla mano, individuiamo la posizione dell’indirizzo dove recarci [oggi sarebbe vicino all’uscita della Tangenziale al Vomero] ed i mezzi per raggiungerlo; cumana e funicolare di Montesanto.

Finalmente il venerdì mattina, lavati e incravattati, siamo pronti per l’impresa.

Partiamo dopo aver, a malincuore, acquistato i biglietti della ferrovia; in treno ripassiamo, anche per darci reciproco coraggio, il programma da svolgere.

Giggino, come ha più volte chiesto in precedenza, dice:

Mi raccomando, chiamatemi Marco e non Giggino.

Ma perché? Sei proprio fissato!

No! È più bello! Giggino non mi piace!

Ma per le svedesi che differenza fa Giggino, Luigi o Marco?

Non rompete, fate come vi ho detto.

Allora fatti chiamare come Mastroianni. La tua svedese si tufferà nella fontana dei “Quattro Cannelli” e griderà: Marcellooo!!!

 

Scesi dalla cumana prendiamo la funicolare e dalla stazione terminale del Vomero con un lungo percorso a piedi raggiungiamo l’inizio di Corso Europa.

Ma è un bel tratto - dice Lello - le ragazze lo faranno a piedi?

Sono wikinghe, atletiche, e giovane; per loro sarà piacevole passeggiare in una calda città come Napoli.

Giunti all’indirizzo troviamo il nominativo sul citofono, bussiamo e una voce femminile, forse la solita, ci invita a salire.

Ci apre una signora, che ha tutta l’aria d’essere la domestica di casa, e dietro un signore, avanti con l’età, che nell’aspetto ricorda il “raguseo”; il turpe ricettatore visto nello sceneggiato televisivo “Il Mulino del Po”.

Seppure imbarazzato dalla presenza di quest’uomo chiedo alla donna se le ragazze sono arrivate.

Senza parlare l’uomo - sarà il professore? – fa un passo avanti e ci invita ad entrare in un grande ambiente, stile classico, composto da salotto e camera da pranzo.

Poi, prima d’uscire, ci fa cenno di sedere ed attendere.

 

Ma che ti sembra? – dice Lello – le ragazze sono arrivate?

Si! Sarà andato a chiamarle – sussurro sottovoce.

Intanto inganniamo l’attesa guardandoci intorno.

Non parliamo per non farci sentire; solo a gesti e sorridendo ci scambiamo qualche sensazione.

Il tempo passa, oltre il dovuto, e iniziamo a spazientirci.

Forse stanno sciacquandosi, per farsi belle.

Ma io non sento niente, dai una occhiata fuori.

Senza minimamente scostare la socchiusa porta sbircio nel corridoio, ma altro non vedo che l’ingresso, dove il “raguseo” ci ha accolto.

Ricordatevi – dice Giggino – di chiamarmi Marco!

Ma che caxxo dici – risponde Lello – qua il fatto è lungo, stiamo aspettando da quasi un’ora. Non si sente niente e svedese non se ne vedono!

 

All’improvviso sentiamo il campanello dell’ingresso; qualcuno ha bussato.

Vuoi vedere che è qualche altro che ha letto lo stesso annuncio!

Non credo – dice Giggino – l’avrebbero detto che ci sono pure altri accompagnatori.

Diremo: Guagliù! - continua Lello - Siete arrivati in ritardo, la polpetta è nostra.

Nel mezzo di questi discorsi, fatti ancora a mezza voce, si spalanca la porta della nostra stanza.

 

Entrano quattro persone, un uomo di mezza età, due poliziotti in divisa e il padrone di casa.

Il primo che è entrato grida - Fuori i documenti!

Ma perché – implora Giggino – Chi siete?

Ora andiamo al commissariato – continua l’uomo in borghese -  vediamo chi siamo noi e giuro che vi pentirete d’aver importunato persone per bene.

Inizia così una lunga ma composta discussione tra noi e quest’uomo che sembra un sottoufficiale di Polizia.

Ci dice che il Professore lo ha chiamato per sorprendere direttamente a casa sua coloro che spesso lo importunano.

Noi gli spieghiamo del perché siamo in quella casa e gli ribadiamo:

- che siamo tre ragazzi, studenti e dabbene;

- che abbiamo risposto ad un annuncio sul giornale;

- che al telefono ha sempre risposto una voce femminile;

- che se non invitati mai ci saremmo permessi d’importunare;

- che il professore, volendo, poteva benissimo non farci salire;

 

Man mano il brigadiere si rende conto di trovarsi di fronte a tre giovincelli, certamente sprovveduti, ma sicuramente educati e in buona fede.

Il colpo di grazia lo riceve quando ricordo d’avere ancora in tasca il foglio del “Mattino” con l’annuncio che, “galeotto”, ci ha ammaliati.

Porgo al poliziotto l’avviso con invito a scorrerlo; poi gli dico:

Questo numero corrisponde al telefono di questa casa?

Il brigadiere lo legge al professore, sempre più assomigliante al perfido “raguseo”, che annuisce.

Allora il brigadiere, infila nella sua tasca il ritaglio di giornale, fa completare la registrazione dei nostri nominativi e rispettivi indirizzi, e poi ci intima di lasciare l’abitazione.

Non permettetevi mai più d’importunare il professore e questa casa.

 

A noi non sembra vero, salutiamo con umiltà e scappiamo via; di corsa tutto il Vomero fino alla funicolare, giù a Montesanto e solo nella cumana iniziamo a scambiarci qualche parola.

Ma cosa è veramente successo?

Ma chi ci rispondeva al telefono? La cameriera? La moglie?

Ma queste ragazze esistono? Sono a Napoli oppure No?

Ma davvero il Professore non sa niente delle svedesi?

Ma c’è sotto un giro di “vita” all’insaputa del Professore?

 

Decidiamo di non raccontare a nessuno la nostra disavventura e di non farci vedere in giro per qualche giorno; sicuri che noi e gli altri, in breve tempo, avremmo facilmente dimenticato tutto.

E così è stato fatto, non ne abbiamo più parlato e mai più ricordato questo episodio anche se, a ben pensarci, ci sarebbero stati i presupposti per una nostra querela; visto il giornale, le telefonate e il quasi sequestro di persone.

Ma eravamo contenti così, all’epoca non c’era “internet”, non avremmo avuto la possibilità di indagare oltre: eravamo felici d’esserne usciti illesi, e tutto all’insaputa dei genitori.

Pochi giorni dopo ritornammo alla nostra “dolce vita”, alle “libere” spiagge puteolane dimenticando le “libere” ragazze svedesi.

 

 

GIUSEPPE PELUSO – GENNAIO 2021

 

 

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